Vittorio Bonaldo è stato uno dei soci fondatori della Federazione Italiana Prader-Willi. Già Presidente dell’Associazione P.W. della regione Lazio, ha contribuito in modo determinante alla difesa dei diritti delle persone affette da questa rara patologia e delle persone con handicap intellettivo. Accanto ha avuto la moglie Clara che, come lui, ha lottato per cercare di ottenere leggi che potessero dare maggiori tutele alle persone con disabilità grave e alle loro famiglie.
L’ho conosciuto nel ‘97, in un primo incontro presso il Ministero della Salute, che aveva convocato le associazioni per parlare di una proposta di legge sulle malattie rare, che in seguito è stata approvata. In quel periodo la sindrome Prader-Willi era sconosciuta a molti, perfino ai medici. Già in quell’incontro si decise di unire le associazioni regionali in un coordinamento chiamato Federazione. Il nostro primo obiettivo era quello di trovare altri casi presenti sul territorio e di diffondere la conoscenza della malattia. Da quel momento Vittorio e Clara si sono impegnati in un lungo percorso che dura tutt’oggi.
Ricordo le parole di Vittorio quando rientrava dalle visite al Ministero della Salute o dall’Istituto Superiore di Sanità per portare delle lettere “Non c’è porta che non ho bussato, ma ho consegnato tutto”. All’epoca non c’era internet e la mail non si usava. I primi tempi sono stati molto difficili, ma Vittorio trovava il modo di far entrare la Federazione negli incontri importanti.
Ricordo ancora le nostre prime partecipazioni alle trasmissioni televisive. L’ emozione era sempre grande perché eravamo genitori e non ci sentivamo preparati, ma Vittorio con il suo sorriso cercava trasmettere serenità e coraggio a tutti noi. Per non dimenticare nulla, ripetevamo le istanze da evidenziare fino all’inizio della trasmissione.
Grazie poi al lavoro della Federazione e alla grande volontà e disponibilità di alcuni professionisti sono nati i Centri di riferimento ospedalieri. I nostri figli così, in tutta Italia, hanno potuto avere delle terapie adeguate alla patologia. Vittorio era molto soddisfatto della possibilità data alle famiglie per la cura dei loro figli.
Molto precocemente Vittorio aveva lasciato il lavoro per accudire la figlia PWS, che ora ha 37 anni, ha lottato con Clara e per tanti anni, ma a tutt’oggi i problemi per i quali si era battuto (disponibilità di personale formato per l’assistenza domiciliare, servizi diurni, moduli sollievo, strutture residenziali adeguate) attendono risposta e le famiglie, specie nelle regioni in cui questi servizi sono assenti, sono lasciate sole con impegni assistenziali che gravano in modo insopportabile su genitori che non ce la fanno più.
Spero tanto che il sacrificio di Vittorio non sia stato vano e che le Istituzioni si prendano cura della figlia e della famiglia.
Mi auguro anche che la scelta estrema che ha fatto Vittorio scuota l’opinione pubblica, perché i problemi assistenziali e i bisogni delle persone con disabilità vengano considerati con la dovuta attenzione e ottengano ai vari livelli istituzionali servizi e risorse adeguati.
Con affetto
Maria Antonietta Ricci
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